Chi avrebbe supposto che zoppia e mancinismo – oltretutto associati nella stessa figura ideale – venissero portati a vanto del pensiero in atto, come le sue insegne più onorifiche? A compiere il gesto di giustizia che li riscatta dalla difettività è Michel Serres, epistemologo.
Ultraottantenne, intrigato dall’attuale sconvolgimento del sapere se ne fa supremo cantore, con un’euforia lungimirante e contagiosa, con un’audacia concettuale ignota ai colleghi giovani o a chi rimane abbarbicato a un umanesimo di opposizione. Alle idee astratte Serres preferisce da sempre le figure sintetiche. Il mancino zoppo è l’eroe dell’età dolce, la nostra, che nella riconfigurazione digitale dello spazio-tempo si lascia alle spalle la dura rigidità euclidea, cartesiana, metrica, abitando la dimensione utopica del possibile e recuperando il concreto attraverso il virtuale.
Michel Serres è anche il simbolo vivo di ogni lavoro della mente degno di questo nome, dalla notte dei tempi: pensare vuol dire infatti deviare dai tracciati, avanzare di traverso e un po’ sghembi, rompere le simmetrie, afferrare il segreto di ciò che sarà domani con la stessa formidabile inventiva dell’universo in espansione. No, non c’è posto per il già formattato. Afferma: “non conosco alcun metodo che abbia mai aperto la strada a qualche invenzione, né alcuna invenzione trovata con metodo”. Solo di fronte al mancino zoppo, e a chi sia all’altezza del suo inesauribile estro, balenano nuovi modi di essere-nel-mondo.
(Bollati Boringhieri, 2015)